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- Nel 2025, l'AGCM ha comminato le prime sanzioni per greenwashing.
- Sanzioni da 5.000 a 10 milioni di euro per pratiche scorrette.
- Direttiva UE vieta claim vaghi come "verde" senza riscontri fattuali.
- Volkswagen multata per 5 milioni nel 2016 per il Dieselgate.
- Nel 2022, 18 brand coinvolti in operazioni di greenwashing.
Prime sanzioni per greenwashing nel 2025: un’analisi approfondita
Il greenwashing, una strategia commerciale fuorviante che traveste prodotti o iniziative come rispettosi dell’ambiente o sostenibili senza una reale base, è diventato un punto focale nel dibattito sulla transizione ecologica. Nel 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha comminato le prime sanzioni per greenwashing, rappresentando un momento cruciale nella lotta contro questa pratica sleale.
Il caso sanzionato e le implicazioni normative
Il gruppo societario sanzionato, attivo nel settore del trasporto merci, è stato punito per aver diffuso sul proprio sito web dichiarazioni ambientali poco chiare riguardo a iniziative di neutralizzazione delle emissioni di anidride carbonica (CO2). L’AGCM ha messo in discussione la mancanza di riscontri concreti a sostegno di asserzioni come “100% energia verde nelle nostre strutture” e “veicoli per le consegne a zero emissioni”, unitamente a dati fallaci relativi all’investimento economico in progetti a tutela dell’ambiente. Tale decisione enfatizza la rilevanza di una comunicazione trasparente e comprovabile in ambito ambientale.
L’Autorità Garante, facendo riferimento all’articolo 27 del Codice del Consumo, ha contestato la carenza di dati probatori a sostegno di dichiarazioni quali l’utilizzo di “energia verde nelle nostre sedi” e la presenza di “mezzi di trasporto a zero emissioni” per le consegne, oltre a riscontrare inesattezze nell’esposizione delle risorse economiche destinate a progetti ecologici.
In base a quanto stabilito dall’articolo del Codice del Consumo, l’AGCM ha facoltà di comminare sanzioni amministrative pecuniarie con un range variabile.
La quantificazione di tali sanzioni può oscillare tra i 5.000
E 10 milioni di euro, parametrata in relazione alla serietà e persistenza dell’infrazione rilevata.
Qualora l’azienda non ottemperi alle disposizioni, l’autorità può anche decretare la sospensione dell’attività commerciale per un periodo massimo di trenta giorni.
A livello comunitario, la Direttiva UE, operativa dal 26 marzo, pone un freno all’utilizzo di asserzioni ambientali vaghe come “verde”, “ecologico” o “sostenibile”, qualora non suffragate da riscontri fattuali.
Le imprese che trasgrediscono tali normative rischiano l’esclusione temporanea dai bandi di gara pubblici, oltre a incorrere in multe che possono raggiungere almeno il 4% delle entrate annuali.
Esempi di greenwashing e strategie per una comunicazione corretta
L’AGCM ha condotto diverse indagini su pratiche di greenwashing in vari settori. Il Dieselgate di Volkswagen nel 2016, con una multa di 5 milioni di euro, è un esempio emblematico. Altri casi includono l’azienda agroalimentare Fileni, per dichiarazioni ingannevoli sulla sostenibilità e l’origine delle materie prime, e il rivenditore di moda online Shein, per possibili pratiche di greenwashing nella sezione “evoluSHEIN”.
Per evitare sanzioni, le aziende devono adottare una strategia di comunicazione chiara, verificabile e basata su dati concreti. È fondamentale garantire la trasparenza e la verificabilità delle affermazioni ambientali, evitare espressioni generiche senza specificare il contesto e utilizzare standard certificati riconosciuti a livello internazionale, come ISO 14001 e EPD (Environmental Product Declaration). Per sviluppare strategie di comunicazione ecologica che rispettino le leggi attuali, è imprescindibile avvalersi di consulenti esperti nel settore.
Risulta di primaria importanza l’ausilio di professionisti qualificati nel settore, al fine di elaborare piani di comunicazione ecologicamente responsabili e in linea con le disposizioni normative in vigore.
Le aziende devono prestare particolare attenzione alle proprie dichiarazioni ambientali, assicurandosi che siano accurate e supportate da evidenze concrete, per evitare sanzioni sia amministrative che penali.
Analisi legali ipotizzano che tali comportamenti fraudolenti possano configurarsi come reati di frode in commercio, ai sensi dell’articolo 515 del Codice Penale, il quale prevede sanzioni detentive fino a due anni o pene pecuniarie.
Casi emblematici di greenwashing: dal passato al presente
Il greenwashing non è un fenomeno nuovo. Nel 2012, l’azienda Fonti di Vinadio fu sanzionata dall’AGCOM per la comunicazione ambientale riguardante la sua BioBottle, a causa della scarsità delle fonti a supporto delle asserzioni ambientali e della non imparzialità dell’ente che aveva avallato tali informazioni. Più recentemente, nel 2023, l’ASA (Advertising Standards Authority) ha contestato i claim ambientali di Easigrass, come “eco” e “fully recyclable”, perché non giustificati. Anche la JDP (Jury de Déontologie Publicitaire) ha giudicato fuorviante l’asserzione “Respirez! Avec la région je roule au gas naturel” per i mezzi di trasporto a metano della regione Auvergne-Rhône-Alpes.
Nel 2022, ben 18 importanti brand sono stati coinvolti in operazioni di greenwashing, portando alcune aziende a minimizzare le proprie credenziali ecologiche per paura di essere prese di mira, un fenomeno noto come silenzio verde. Tra i casi più eclatanti, spiccano HSBC, accusata di finanziare progetti di combustibili fossili nonostante le campagne di piantumazione di alberi, e Michelin, per un progetto di piantagione di gomma naturale in Indonesia che ha distrutto habitat di specie protette. Anche aziende come Santos, Big Oil, H&M, Ocean Cleanup, DBS, Unilever, Coldplay, Lazada, Deutsche Bank, il governo giapponese, il Gran Premio di Singapore, l’Australia, Boohoo e KLM sono state accusate di greenwashing.

L’impegno dell’Europa e le nuove normative
L’Europa sta rafforzando la tutela dei consumatori dal greenwashing attraverso la Direttiva (UE) 2024/825 e la proposta di direttiva sui green claims. Queste normative impongono agli Stati membri obblighi di recepimento per garantire maggiore trasparenza nelle dichiarazioni ambientali delle imprese. Il caso General Logistics Systems (GSL), sanzionato dall’AGCM per dichiarazioni ambientali non verificate nel programma “Climate Protect”, è un esempio di come la trasparenza in materia ambientale sia diventata un obbligo giuridico.
La direttiva in questione comporterà l’introduzione di regole più dettagliate e precise all’interno del codice del consumo, con particolare attenzione ai green claim e alla sostenibilità. Questo renderà più agevole per le autorità competenti l’individuazione e la contestazione di pratiche commerciali ingannevoli.
Le asserzioni relative all’impatto in termini di gas serra (GHG) o di CO2 saranno ammesse unicamente se basate sull’effettivo impatto del ciclo vitale del prodotto considerato.
La direttiva vieta in modo tassativo la possibilità di vantare un impatto nullo, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di GHG, fondandosi esclusivamente sulla compensazione delle stesse.
La suddetta direttiva introduce restrizioni più severe anche per quanto concerne i green claim generici, ossia quelle affermazioni ambientali, come “green”, “ecocompatibile” o “rispettoso dell’ambiente”, non supportate da un marchio di sostenibilità e prive di una chiara e trasparente specificazione sullo stesso mezzo di comunicazione.
Sarà sempre vietato l’utilizzo di claim generici di tipo ecologico quando l’operatore economico non sarà in grado di comprovare un livello di eccellenza riconosciuto relativamente alle prestazioni ambientali pertinenti.
Verso una comunicazione ambientale responsabile: trasparenza e verificabilità come pilastri
La lotta al greenwashing rappresenta una sfida cruciale per la transizione ecologica. Le sanzioni inflitte nel 2025 e le nuove normative europee segnano un passo avanti significativo verso una maggiore trasparenza e responsabilità nella comunicazione ambientale. Le aziende devono abbandonare le pratiche ingannevoli e adottare un approccio basato su evidenze scientifiche, dati verificabili e certificazioni riconosciute. Solo così potranno costruire una reputazione solida e credibile, rafforzare la fiducia dei consumatori e contribuire a un futuro più sostenibile.
Oltre la Superficie: Un Impegno Autentico per la Sostenibilità
Amici, riflettiamo un attimo su quanto abbiamo letto. Il greenwashing è come un abito elegante indossato da chi non ha fatto la doccia: può sembrare bello, ma nasconde una realtà ben diversa. Una nozione base di transizione ecologica ci ricorda che la vera sostenibilità non è solo una questione di marketing, ma un impegno concreto e verificabile verso la riduzione dell’impatto ambientale. Dobbiamo andare oltre le etichette e i claim pubblicitari, cercando di capire cosa c’è dietro, quali sono i processi produttivi, quali materiali vengono utilizzati e come vengono gestiti i rifiuti.
Ma c’è di più. Una nozione avanzata ci suggerisce che la sostenibilità non è solo una questione ambientale, ma anche sociale ed economica. Un’azienda veramente sostenibile è quella che rispetta i diritti dei lavoratori, che contribuisce allo sviluppo delle comunità locali e che adotta un modello di business circolare, riducendo al minimo gli sprechi e massimizzando il riutilizzo delle risorse. Quindi, la prossima volta che acquistiamo un prodotto, chiediamoci se stiamo premiando un’azienda che si impegna veramente per un futuro migliore, o se stiamo cadendo nella trappola del greenwashing. La nostra scelta può fare la differenza.